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Prostata: Italia al top nella chirurgia robotica

Societa ita urologia 3745 i robot-chirurghi nel mondo, 632 in Europa e 81 in Italia, ma quasi tutti al Nord: nessuno è installato in Molise e in Calabria, in Sicilia solo uno. Sono centinaia perciò i “migranti della prostata” costretti ad andare in altre Regioni per un intervento che si è dimostrato non solo più preciso, veloce e sicuro per rimuovere il tumore, ma anche in grado di preservare l’attività sessuale

Venezia, 17 ottobre 2016 – Il robot-chirurgo è veloce, preciso, affidabile. Efficacissimo nel trattamento del cancro alla prostata, e anche nel preservare l’attività sessuale del paziente, almeno nei casi meno gravi e più giovani, è ormai diffuso in tutto il mondo e sono 3745 i robot Da Vinci sparsi ovunque: la maggioranza, ben 2474, si trova negli Stati Uniti ma ce ne sono 462 in Asia e 632 in Europa, di cui 81 nel nostro Paese. Dove però sono concentrati quasi tutti al Nord: ben 21 si trovano in Lombardia, mentre in Molise e in Calabria non ne è stato installato nessuno e in Sicilia ce n’è uno soltanto. Una differenza di distribuzione sul territorio che costringe centinaia di pazienti (una stima è ancora impossibile) a spostarsi dalla propria Regione per sottoporsi all’intervento, con un considerevole aggravio di costi sanitari: lo rivelano gli esperti riuniti in occasione dell’89° Congresso Nazionale della Società Italiana di Urologia, a Venezia dal 15 al 18 ottobre, sottolineando gli ottimi risultati raggiunti con l’utilizzo dei robot-chirurghi nel trattamento del tumore alla prostata e non solo.

“I robot-chirurghi installati in Italia complessivamente sono sufficienti alle esigenze dei pazienti italiani – sottolinea Vincenzo Mirone, segretario generale SIU –. Il problema è la distribuzione a macchia di leopardo e la notevole differenza fra Sud e Nord del Paese. Al Nord i robot sono ben 43, al centro 25 di cui 11 in Toscana, al Sud e nelle isole appena 15, di cui 9 dislocati fra Campania e Puglia. In una situazione simile è chiaro che si favorisce la migrazione sanitaria dei malati per i quali l’intervento robotico è più indicato, con un aggravio considerevole di costi sanitari. Va anche detto che non è pensabile installare un robot-chirurgo Da Vinci in tutti i reparti di urologia: la macchina costa da 1,5 a 2,7 milioni di euro e per ogni intervento, soltanto per i materiali d’uso, si spendono circa 4-5000 euro a cui aggiungere i costi ospedalieri. È ragionevole utilizzarlo se si possono sostenere oltre 350 interventi all’anno”. 

Servirebbe perciò una “redistribuzione” dei robot, perché ormai è chiaro che sono efficaci e in alcune situazioni cliniche preferibili alla mano dell’uomo: grazie a una telecamera 3D ad alto ingrandimento inserita nell’addome attraverso una micro-incisione, il chirurgo può infatti vedere il campo operatorio con estrema chiarezza e muoversi con precisione e in tutte le direzioni, anche quelle che sarebbero precluse alla mano umana, grazie a tre bracci robotici con gli strumenti operatori, guidati dal chirurgo in carne e ossa grazie a una console esterna. Non c’è perciò un’unica, grossa incisione ma tre piccoli fori: Un doppio sistema di sicurezza, inoltre, assicura la continua funzionalità del robot, senza interruzioni e senza margine di errore. A 16 anni dal primo intervento di rimozione della prostata assistita da robot, condotto nel 2000, oggi negli Stati Uniti l’80% degli interventi viene eseguito dal Da Vinci e in Europa, benché le percentuali siano molto inferiori, l’utilizzo è in costante crescita. Merito degli ottimi risultati possibili, sottolineati anche di recente nel primo studio randomizzato controllato che ha messo a confronto gli esiti della chirurgia robotica e della chirurgia aperta in pazienti operati per cancro alla prostata: i dati, pubblicati su The Lancet, mostrano che i risultati in termini oncologici sono molto simili. 

“L’intervento robotico però è più rapido e così preciso da azzerare di fatto il rischio di recidive, perché grazie a una visione amplificata del campo operatorio ci si assicura che venga asportato tutto il tessuto malato – precisa Mirone – Le incisioni più piccole non solo causano meno sanguinamento e meno dolore post operatorio, ma restano molto meno visibili; tutto ciò consente anche una degenza più breve e un ritorno più rapido alle normali attività. La chirurgia robotica dà ottimi risultati in termini di sopravvivenza libera da malattia e di esiti funzionali, come la continenza e la capacità di mantenere una buona erezione. La tecnica robotica rispetta infatti lo sfintere urinario e ricostruisce l’uretra, evitando l’incontinenza che invece è un problema per il 5% dei pazienti operati a cielo aperto. Inoltre, grazie a una maggior capacità di risparmiare i fasci nervosi che regolano l’erezione, la chirurgia robotica offre i migliori risultati nei pazienti con tumore alla prostata che hanno ancora un’erezione efficiente e vogliono conservarla per una vita sessuale soddisfacente anche dopo l’intervento, per esempio gli uomini più giovani; con la chirurgia a cielo aperto la probabilità di deficit erettivi arriva al 60% nel primo anno dall’intervento. Il tumore alla prostata, che ogni anno conta ben 36.000 nuovi casi ogni anno nel nostro Paese, con 7 mila decessi, non è peraltro l’unica situazione in cui il robot-chirurgo si sta rivelando efficace: è utilizzato sempre più spesso anche per il cancro al rene, se le dimensioni del tumore sono comprese fra i 3 e i 7 centimetri ed è possibile una resezione parziale del rene. Non è indicato invece in caso di iperplasia prostatica benigna per i costi molto elevati dell’intervento robotico, tuttora riservato ai pazienti con neoplasie dove l’estrema precisione è un grosso valore aggiunto: soltanto nei grandi centri statunitensi con un enorme volume di pazienti il robot-chirurgo viene utilizzato anche per rimuovere la prostata in assenza di un tumore”. 

 

Ufficio stampa

Health Media srl

Carlo Buffoli  

Gino Di Mare